Michele Morsero -Torino, 1895 – Vercelli, 2 maggio 1945. Ricoprì la carica di capo della provincia di Vercelli per la Repubblica Sociale Italiana.
Dopo essere stato interventista e volontario della prima guerra mondiale, partecipò alla marcia su Roma. Arruolatosi nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, con il grado di 1º seniore (tenente colonnello) partecipò alla guerra d'Etiopia e poi alla guerra civile spagnola nelle file del Corpo Truppe Volontarie, al comando del Battaglione "Laredo" della Brigata "Frecce Nere".
Proseguì la carriera nella milizia fino a raggiungere il grado di console comandante della 1ª Legione "Sabauda" di Torino. Combatté inoltre nella seconda guerra mondiale col grado di tenente colonnello dell'esercito sul fronte greco-albanese.
In seguito all'8 settembre 1943, aderì alla Repubblica Sociale Italiana e fu nominato federale di Lucca. Sostituito il 20 ottobre da Mario Piazzesi, il 27 fu nominato prefetto di seconda classe e destinato a Vercelli.
Il primo attacco partigiano fu sferrato il 2 dicembre 1943 contro un presidio di camicie nere a Varallo, in seguito al quale i fascisti riportarono il loro primo caduto nella zona.
Anche a seguito di ciò il prefetto Morsero inoltrò spesso lettere presso i vari ministeri e comandi sia repubblicani che tedeschi allo scopo di ottenere contingenti di soldati per integrare le scarse forze a disposizione che potessero presidiare la provincia.
« Ritengo utile informarvi che le deprecate azioni dei ribelli aumentano di giorno in giorno et arrecano danni gravissimi materiali oltre che influire negativamente su orientamento popolazione et quindi su ordine pubblico. Sarebbe necessario reazione immediata ad ogni loro azione, ma per le ragioni più volte esposte in ogni circostanza che vi è stata sempre segnalata, non abbiamo forza di polizia sufficiente per provvedervi. Ho richiesto uomini et armi ma ad oggi Comandi superiori non hanno potuto evadere richieste. Situazione preoccupami per difesa economia nazionale e per affermare prestigio autorità. Pregasi rappresentare situazione superiormente per opportuni interventi. »
(Morsero Capo Provincia Vercelli al Comando Tedesco Piazza di Vercelli il 13 dicembre 1943)
Morsero nella vita civile esercitava la professione di commercialista e nello svolgere il suo ruolo come primo dirigente dell'amministrazione provinciale si dimostrò sempre attento alle questioni legate a lavoro ed economia, entrando pertanto in contrasto con l'incaricato nazista per l'industria tessile Hermann Rausch in particolare per quanto riguardava la concentrazione dell'industria tessile, che avrebbe distrutto il tessuto di piccole e medie imprese del settore del Biellese oltre che per le scarse forniture destinate alla provincia da parte del comando germanico. Cercò di applicare i decreti di socializzazione industriale e agricola.
Il 18 aprile 1945 iniziarono dei nuovi scioperi e Morsero ordinò che si sarebbe dovuti "essere inflessibili nell'agire". Ma al capitano Sora, del battaglione "Montebello" della GNR, che proponeva di reagire chiudendo preventivamente le fabbriche e anticipando il coprifuoco rispose di "non riscaldarsi troppo". Ordinò comunque la repressione degli scioperi, anche aprendo il fuoco, nel caso in cui gli scioperanti fossero stati visti armati. Il 19 aprile lo sciopero interessò tutta la provincia e alla GNR furono dati ordini contraddittori. Inizialmente fu ordinato di impedire gli scioperi nelle zone in cui esisteva un presidio, in seguito su disposizioni di Giuseppe Solaro, alto commissario per il Piemonte, fu deciso di permetterli e al contempo di cercare di individuarne i capi. Sempre il 19 aprile fu attuata un'offensiva militare per spezzare l'accerchiamento partigiano che porto inoltre all'individuazione dell'emittente partigiana "Radio Libertà" che fu fatta saltare.
Tra il 23 e il 26 aprile 1945 affluirono a Vercelli dai vari presidi della provincia le forze armate della Repubblica Sociale Italiana ancora in armi, ponendosi sotto il comando di Michele Morsero. Si aggiunse anche il battaglione d'assalto "Pontida" della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR) giunto da Biella. Le truppe fasciste, cui in taluni casi si erano aggiunti anche civili con i propri familiari, costituirono la cosiddetta "Colonna Morsero" formata da più di 2.000 persone. L'intenzione era di raggiungere Novara per poi dirigersi verso il ridotto della Valtellina.
La colonna si arrese poi il 28 aprile ai partigiani presso Castellazzo Novarese. Morsero, tradotto a Vercelli, fu giustiziato sommariamente il 2 maggio.
Dopo essere stato condannato a morte, Morsero, alla presenza di monsignor Picco, scrisse l'ultima lettera alla moglie: « ...Purtroppo tutto questo sacrificio di anni, di una vita spesa nella visione di una Patria grande, rispettata, temuta, in una Italia degli Italiani, di una Fede che ritenevamo giusta e degna di successo concreto e duraturo, appare essere stata sino ad oggi vana per la Patria stessa e, per me... La fine... risultato molto triste, sia dal punto di vista nazionale e sociale, sia, che conta molto meno, dal punto di vista personale. L'avvenire stabilirà la verità storica e pratica, ciò che era buono e ciò che è da scartare: quali furono le grandi affermazioni e quali gli errori. Io però formulo l'augurio che l'Italia e gli italiani ritornino comunque, con quelle forme e sistemazioni ed organizzazioni che saranno ritenute dal popolo più rispondenti ai tempi ed alle situazioni, uniti in se stessi e riprendano la marcia della ricostruzione per un migliore avvenire della Patria immortale che non può, non deve soccombere. Possa questo popolo Italiano trovare con dignità un assetto di nazione unita territorialmente e spiritualmente sì da poter far coincidere il prestigio collettivo al benessere morale, economico e sociale dei singoli. Con questa visione, che fu quella di tutti i Martiri che in tutte le epoche storiche e in tutti i copovolgimenti politici e guerrieri caddero, io lascio questo mondo terreno in serenità di spirito, con la coscienza di aver cercato di contribuire ad un bene supremo: quello della Patria. Senza rancori ed odii per alcuno invoco benedizione all'Italia, alla mia cara Patria, agli italiani tutti.... 2 maggio 1945, ore 12,30. »
(2 maggio 1945, Morsero Capo della Provincia di Vercelli nell'ultima lettera alla moglie dopo aver appreso della condanna a morte)
Morsero riceve i conforti della religione da monsignor Picco
Nei giorni seguenti altri membri della "Colonna Morsero", dopo essere stati prelevati dal campo di prigionia, furono sommariamente uccisi in varie località del Vercellese e del Novarese. Il prelevamento più corposo avvenne il 12 maggio 1945 e si concluse con l'eccidio dell'ospedale psichiatrico di Vercelli.
VERCELLI OTTOBRE 1944
MICHELE M0RSERO APPLICA I GLADI AD UNA AUSILIARIA
Un manifesto delle Federazioni del PFR di Lucca, con la firma di
Michele Morsero, il quale, prima di essere Capo della provincia a Vercelli (e
poi alla testa della famosa "colonna" che da lui prese il nome e
cercava di raggiungere Mussolini a Como) era stato per un mesetto Segretario
federale a Lucca, dove poi fu sostituito da Mario Piazzesi
........Ho cercato di ridurre
al minimo, per quanto di mia stretta competenza ed oltre, illegalità, lutti,
spargimento di sangue fraterno.
Numerose e note le mie
invocazioni in merito.......
Se poi l'accusa viene fatta
nella mia normale attività di reggitore politico amministrativo della
provincia, ......la respingo energicamente.......io sono stato piuttosto
longamine e molto benevolo.
A Vercelli non è avvenuto
nessun crimine. E così in molte altre parti della provincia.
........si concluse la resa la
notte del 28 di aprile........
tenni a far conoscere subito al
comandante dei patrioti che ero il capo della provincia di Vercelli e che in
tale veste desideravo presentarmi a Novara o a Vercelli.
......Certo che sono
preoccupato per il tuo domani perchè l'esistenza sarà dura e ben poco in
sostanza c'è.
Perdonami se non ho potuto fare
di più;
sai che ho vissuto, abbiamo
vissuto onestamente senza approfittarci mai di cariche o di posizioni
privilegiate, anzi rimettendoci talvolta.
Ti so brava, capace,
industrievole; cerca di fare del meglio per stare meno male; comunque questo pensiero mi
rattrista molto."
Michele Morsero, prefetto di Vercelli, arresosi ai
partigiani viene interrogato
prima della fucilazione presso il cimitero.
All'estrema sinistra,
appoggiato con espressione torva all'armadio,
il capo partigiano
Francesco Moranino "Gemisto"
Morsero scrive l'ultima lettera alla moglie dopo essere
stato condannato a morte
Morsero davanti al plotone di esecuzione, 2 maggio 1945
Questa foto appartiene ad una
sequenza di scatti realizzati il 2 maggio 1945 dal fotografo Luciano Giachetti
per conto dei "Fotocronisti Baita". Ritrae le fasi della fucilazione
del Prefetto di Vercelli Michele Morsero ad opera dei partigiani comunisti
della 182° Brigata Garibaldi. Nell'immagine si vede il Prefetto Morsero
avviarsi alla fucilazione. Al suo fianco Don Picco in abito talare e Don Mario
Casalvolone, nome di battaglia "Macario", in divisa da cappellano
della 50° Brigata partigiana. Don Mario, dopo la guerra sarà uno dei primi
accusatori del comandante partigiano Francesco Moranino "Gemisto",
per la questione dell'eliminazione dei 5 componenti della "Missione
Strassera" e delle loro 2 mogli, che costerà a "Gemisto" la condanna
definitiva all'ergastolo. Comanda il plotone Quinto Antonietti di Tollegno che
darà il colpo di grazia a Morsero con la propria arma.
IL COLPO DI GRAZIA
Il partigiano Quinto Antonietti "Quinto", commissario e poi
comandante della 12° Divisione Garibaldi. comanda il plotone che lo fucilò
Morsero di fronte al cimitero di Vercelli. Morsero pluridecorato di molte
guerre, viene nominato alla guida della provincia il 27 settembre 1943 e da
quel momento gestisce la difficile situazione dando prova di moderazione e
intelligenza, dimostrandosi sempre attento alle questioni legate al lavoro ed
all'economia. Il 26 aprile, con lo scopo di evitare scontri armati nella città
di Vercelli, guida la colonna di truppe e civili che lascia la città in
direzione del Lago di Como. Il 28 tratta la resa coi partigiani, ricevendo
ampie rassicurazioni di salvezza e trattamento da prigioniero di guerra per se
ed i suoi camerati. Viene invece giudicato da uno pseudo "tribunale del
popolo", ricondotto a Vercelli e fucilato il giorno 2 di maggio presso il
cimitero. Morsero prega il cappellano partigiano di "frugarlo" per
prendere il pacchetto di sigarette che egli ha destinato al plotone di
esecuzione. Nell'ultima immagine il
sacerdote distribuisce ai partigiani le sigarette.
SULLA TOMBA DI
MORSERO SI LEGGE:
VISSE PER L’ ITALIA -
PER L’ ITALIA MORI’
8 OTTOBRE 1895 - 2
MAGGIO 1945
L’eccidio dell’Ospedale psichiatrico di Vercelli
Nei giorni dal 23 al 26 aprile 1945 si erano concentrate a Vercelli tutte le forze della R.S.I. della zona, circa 2000 uomini, che andarono a costituire la Colonna Morsero, dal nome del Capo Provincia di Vercelli Michele Morsero. Tale colonna partì da Vercelli alle ore 15 del 26 aprile, dirigendo verso nord per raggiungere la Valtellina. I reparti che costituivano la colonna erano : Il 604° Comando Provinciale GNR Vercelli Comandato dal Colonnello Giovanni Fracassi, la VII^ B.N. “Punzecchi di Vercelli, parte della XXXVI^ B.N. “Mussolini” di Lucca, CXV° Btg “Montebello”, I° Btg granatieri “Ruggine”, I° Btg d’assalto”Ruggine”, I° Btg rocciatori (poi controcarro) “Ruggine”, III° Btg d’assalto “Pontida”. La colonna raggiunse Castellazzo, a Nord di Novare, la mattina del 27 aprile e, dopo trattative, la sera decise, dopo molte incertezze, di arrendersi ai partigiani di Novara dietro promessa di essere trattati da prigionieri di guerra. Il 28 aprile i prigionieri vengono condotti a Novara e rinchiusi in massima parte nello stadio. Subito cominciarono gli insulti e i maltrattamenti e il 30 cominciarono i prelevamenti di gruppi di fascisti dei quali non si ebbe più notizia. Lo stesso accadde nei giorni successivi insieme a feroci pestaggi. Il 2 maggio Morsero viene portato a Vercelli e fucilato. Intanto sono giunti gli americani che tentano di ristabilire un minimo di legalità. Ma il Corriere di Novara dell’8 maggio parla di molti cadaveri di fascisti ripescati nel canale Quintino Sella. Finché il 12 maggio giungono da Vercelli i partigiani della 182^ Brigata Garibaldi di “Gemisto” cioè Francesco Moranino che prelevano circa 140 fascisti elencati in una loro lista.Questi uomini saranno le vittime della più incredibile ferocia. Portati all’Ospedale Psichiatrico di Vercelli saranno, in buona parte massacrati all’interno di questo. Le pareti dei locali dove avvenne l’eccidio erano lorde di sangue fino ad altezza d’uomo. Altri saranno schiacciati in un cortile da un autocarro, altri fucilati nell’orto accanto alla lavanderia, altri, pare tredici, fucilati a Larizzate e altri ancora, infine, portati con due autocarri e una corriera (quindi in numero rilevante) al ponte di Greccio sul canale Cavour e qui, a quattro a quattro, uccisi e gettati nel canale. Nei giorni successivi i cadaveri ritrovati nei canali di irrigazione alimentati dal canale Cavour furono più di sessanta.
Solo il giorno 13 maggio, domenica, gli americani prenderanno il controllo dei prigionieri ed eviteranno altri massacri. Era già pronta la lista dei prigionieri da prelevare quello stesso giorno alle 18.
La Corte di assise di Firenze, nel 1956, appurò la responsabilità di Moranino e della sua formazione partigiana comunista e condannò Francesco Moranino detto Gemisto all'ergastolo.Le motivazioni della sentenza descrivono Moranino attore di ”un comportamento ispirato ad una faziosità politica, ed ai metodi usati, rivelatori di un'assoluta mancanza di umanità che hanno raggiunto i limiti di uno spietato cinismo”.La sentenza di condanna all'ergastolo per i descritti crimini contro pretese “spie fasciste” e contro le loro mogli, fu confermata dalla Corte d'Assiste d'Appello nel 1957.Francesco Morarino detto Gemisto, militante stalinista “duro e puro”, era nato a Tollegno, nel Billese, il 15 gennaio 1920 da una famiglia di operai, ed era già stato arrestato nel 1940 per attività antifasciste ed inviato al confino, ove aveva potuto entrare in contatto con uomini di spicco del partito come Amendola e soprattutto Giancarlo Pajetta.Non scontò mai la condanna all'ergastolo. Fu fatto fuggire dall'organizzazione comunista “Soccorso Rosso”, e riparò in Cecoslovacchia, ove lavorò a “Radio Praga”, dando anche la sua voce a trasmissioni di propaganda stalinista “in lingua italiana”. Fu graziato dal Presidente Saragat, e tornò in Italia, ove il PCI lo accolse a braccia aperte. Fu eletto deputato della Repubblica , nelle liste del Partito Comunista Italiano di Luigi Longo, alle elezioni politiche del maggio 1968.
Elezioni amministrative
del 1946
Manifesto elettorale
del Partito Comunista Italiano. Il capolista è Gemisto, alias Franco Moranino,
che verrà in seguito condannato all'ergastolo in via definitiva per
l'uccisione, fra i tanti, di cinque partigiani e due loro mogli. Vari ex
partigiani nella lista, identificabili dal loro nome di battaglia. Fra loro Quinto Antonietti (Quinto), colui che
comandò il plotone che fucilò il Capo della Provincia di Vercelli, Michele
Morsero, dandogli il colpo di grazia.